La scoperta di questo video è stata per me una
piacevolissima sorpresa sotto molteplici punti di vista.
Si tratta dell'illustrazione animata di una
conferenza tenuta dall'educatore e divulgatore Kenneth Robinson, e fa
parte di una serie di animazioni prodotte e pubblicate dalla RSA
(Royal Society for the encouragement of Arts, Manufactures and
Commerce), un'organizzazione britannica che “mira a trovare
soluzioni pratiche e innovative alle sfide sociali di oggi”.
Innovativo, e sicuramente divertente e funzionale, è lo stile di
questi video, realizzati dalla Cognitive Media, uno studio di
animazione che ha sede a Folkestone, in Inghilterra. Il tratto dei
disegni è molto simpatico e divertente (vengono riprese le
caratteristiche fisiche di ogni oratore) ed efficace e semplice allo
stesso tempo. Non sono sicura di quale tecnica usino per l'animazione
vera e propria, ma l'ho trovata estremamente piacevole nel modo in
cui le immagini scorrono, si susseguono e vengono manipolate seguendo
con grande accuratezza il fluire delle parole e dei concetti espressi
dall'oratore. Insomma, un video molto piacevole e divertente -con
riferimenti anche alla cultura cosiddetta “pop”- per illustrare
una conferenza estremamente interessante, ma parallelamente anch'essa
innovativa, divertente e fuori dagli schemi.
Il relatore in questione è stata per me l'altra
piacevolissima sorpresa. Credo di poter affermare di essere adesso
ufficialmente una fan di Sir Kenneth
Robinson. Oltre a condividere praticamente in toto il suo pensiero,
le sue idee e il suo punto di vista sull'istruzione e la scuola dei
nostri giorni, Robinson ha per me un ulteriore valore aggiunto, e
cioè quello di essere un britannico, e quindi di possedere lo stile,
l'umorismo e l'argutezza tipici di questo popolo.
Uno dei primi
punti esposti nella relazione riguarda il fatto che i diplomi, i
certificati, le lauree, i “pezzi di carta” sembrano non avere più
lo stesso valore che avevano prima. Questo si era notato in Italia
già da diversi anni: una laurea non è neanche lontanamente una
garanzia per trovare un lavoro (in certi casi anzi paradossalmente è
quasi vero l'opposto...), e quindi si cerca di innalzare gli standard
personali con un master o due, solo per accorgersi che anche il
master non è sufficiente, e quindi, forse, per ambire a certi posti
di lavoro bisogna provare ad aggiungere al curriculum anche un
dottorato, e così via in una specie di svalutazione accademica. La
percezione che la formazione e l'istruzione siano quindi diventati
inutili sarebbe esacerbata anche dal fatto che il percorso scolastico
spesso marginalizza le “cose che ognuno pensa siano importanti per
se stessi”. E qui subentra il concetto principale dell'intero
discorso: la creatività e il pensiero divergente.
Secondo Robinson,
la scuola moderna è ancora troppo ancorata al modello della cultura
intellettuale dell'Illuminismo, che divideva gli individui in due
tipologie: quelli “adatti” all'istruzione, e quelli che non lo
erano. Quelli che erano in grado di fare un certo tipo di
ragionamento deduttivo, di studiare i classici, insomma, gli
“accademici”, contrapposti ai “non accademici”, i ragazzi di
strada e i figli dei proletari a favore dei quali sarebbe stato
inconcepibile spendere tempo e denaro per una educazione pubblica.
Secondo Robinson, tuttavia, anche con l'istituzione della pubblica
istruzione la divisione è rimasta sostanzialmente la stessa:
studenti intelligenti e meno intelligenti, “smart people and non
smart people”, studiosi e svogliati, quelli “fatti per lo studio”
e quelli che “non ne vogliono neanche a brodo”. Insomma, le
cosiddette “braccia rubate all'agricoltura”. Robinson si
contrappone a questo atteggiamento ormai forse inconsciamente
radicato nella nostra società, installando il seme del dubbio: forse
la colpa non è di caratteristiche innate all'individuo, quasi
genetiche, ma di un sistema scolastico non al passo con i tempi.
Standing ovation virtuale da parte mia.
La scuola è
ancora adesso organizzata come una catena di montaggio, come una
fabbrica che sforna prodotti – conformi, specializzati e ad annate-
che devono aderire -conformarsi- a determinati standard di
produzione. Per raggiungere questi standard, quello che la scuola fa
è di “anestetizzare” i ragazzi, mettendoli a dormire invece di
svegliarli (negli Stati Uniti spesso anche letteralmente, attraverso
l'uso purtroppo diffuso di farmaci per curare iperdiagnosticate
ADHD). Robinson a tal proposito fa presente l'ironia di diagnosticare
con tanta facilità la sindrome da deficit di attenzione e
iperattività in un mondo in cui siamo bersagliati di informazioni da
tutti lati, siano esse provenienti da computer, telefonini,
pubblicità, o televisione con centinaia di canali interattivi.
La
contrapposizione tra “aesthetic experience”, quella in cui i
sensi e l'individuo intero vengono risvegliati, e l'“anaesthetic”
che ci addormenta, riprende il concetto iniziale del senso
dell'inutilità dell'istruzione quando questa annichilisce le
potenzialità individuali presenti all'interno di ciascuno di noi. A
questo proposito, trovo molto efficace l'immagine ideata dagli autori
del video, del ragazzino che si sveglia uscendo dal guscio del suo
corpo in stato semicatatonico, come se fosse un costume che si sta
togliendo (minuto 6:29 circa).
Ed è questo il compito che la scuola,
l'istruzione, gli educatori dovrebbero svolgere: portare fuori quello
che ognuno ha dentro, attraverso non una conformazione, ma uno
stimolare la creatività e il pensiero divergente (o laterale),
ovvero l'abilità di vedere quante più possibili risposte ad una
domanda, o modi di interpretare la domanda o affrontare un problema.
L'esempio è quello della
graffetta, per la quale la persona media troverebbe 10 o 15 usi
alternativi e creativi, mentre il “genio creativo” può arrivare
fino a 200 (a questo proposito trovo un genio creativo sia Robinson,
con la citazione “You know… like does it have to be a paper clip
as we know it, Jim?”, sia il disegnatore del video, con
l'altrettanto geniale visualizzazione grafica della citazione al
minuto 8:42 del video).
Quello che la scuola fa, invece, è di fornire -e attendersi- una risposta unica, con il risultato di stigmatizzare gli errori come tali, piuttosto che trattarli come alternative originali, uccidendo così la creatività, il pensiero articolato, la capacità di trovare più soluzioni e porsi più domande.
Quello che la scuola fa, invece, è di fornire -e attendersi- una risposta unica, con il risultato di stigmatizzare gli errori come tali, piuttosto che trattarli come alternative originali, uccidendo così la creatività, il pensiero articolato, la capacità di trovare più soluzioni e porsi più domande.
A sostegno di questo punto,
Robinson porta anche dei dati statistici, dai quali si evince che
tutti nascono con questa qualità creativa, ma che crescendo, o
meglio con l'educazione e l'istruzione, essa va gradualmente
deteriorandosi.
In un articolo
pubblicato su Edutopia (il link è presente nella mia raccolta),
Robinson racconta di una bambina che stava facendo un disegno che
raffigurava Dio. All'obiezione della maestra che “nessuno sa come è
fatto Dio”, la bambina ha risposto senza esitazione: “Lo sapranno
tra un minuto”.
Robinson prosegue
l'articolo con queste parole:
“What all children have in common is
that they will take a chance. They're not frightened of being wrong.
I don't mean to say that being wrong is the same thing as being
creative. But if you're not prepared to be wrong, you'll never come
up with anything original. By the time they get to be adults, most
kids have lost that capacity. They have become frightened of being
wrong. We stigmatize mistakes. Now, we're running national education
systems where mistakes are the worst thing you can make.
The result is that
we are educating people out of their creative capacities. Picasso
once said that all children are born artists. The trick is to remain
an artist as we grow up. I believe this passionately: We don't grow
into creativity; we grow out of it. Or, rather, we get educated out
of it. Creativity now is as important in education as literacy, and
we should treat it with the same status.”
Credo che per la
prossima volta che andrò in Inghilterra, alla mia solita lista dei
libri da comprare, dovrò aggiungerne uno o due tra quelli di Sir Ken
Robinson.
Sitografia disponibile su:
http://delicious.com/beatriceza
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