Monday, 30 July 2012

Changing Education Paradigms



La scoperta di questo video è stata per me una piacevolissima sorpresa sotto molteplici punti di vista. 

Si tratta dell'illustrazione animata di una conferenza tenuta dall'educatore e divulgatore Kenneth Robinson, e fa parte di una serie di animazioni prodotte e pubblicate dalla RSA (Royal Society for the encouragement of Arts, Manufactures and Commerce), un'organizzazione britannica che “mira a trovare soluzioni pratiche e innovative alle sfide sociali di oggi”. Innovativo, e sicuramente divertente e funzionale, è lo stile di questi video, realizzati dalla Cognitive Media, uno studio di animazione che ha sede a Folkestone, in Inghilterra. Il tratto dei disegni è molto simpatico e divertente (vengono riprese le caratteristiche fisiche di ogni oratore) ed efficace e semplice allo stesso tempo. Non sono sicura di quale tecnica usino per l'animazione vera e propria, ma l'ho trovata estremamente piacevole nel modo in cui le immagini scorrono, si susseguono e vengono manipolate seguendo con grande accuratezza il fluire delle parole e dei concetti espressi dall'oratore. Insomma, un video molto piacevole e divertente -con riferimenti anche alla cultura cosiddetta “pop”- per illustrare una conferenza estremamente interessante, ma parallelamente anch'essa innovativa, divertente e fuori dagli schemi.

Il relatore in questione è stata per me l'altra piacevolissima sorpresa. Credo di poter affermare di essere adesso ufficialmente una fan di Sir Kenneth Robinson. Oltre a condividere praticamente in toto il suo pensiero, le sue idee e il suo punto di vista sull'istruzione e la scuola dei nostri giorni, Robinson ha per me un ulteriore valore aggiunto, e cioè quello di essere un britannico, e quindi di possedere lo stile, l'umorismo e l'argutezza tipici di questo popolo.
 
Uno dei primi punti esposti nella relazione riguarda il fatto che i diplomi, i certificati, le lauree, i “pezzi di carta” sembrano non avere più lo stesso valore che avevano prima. Questo si era notato in Italia già da diversi anni: una laurea non è neanche lontanamente una garanzia per trovare un lavoro (in certi casi anzi paradossalmente è quasi vero l'opposto...), e quindi si cerca di innalzare gli standard personali con un master o due, solo per accorgersi che anche il master non è sufficiente, e quindi, forse, per ambire a certi posti di lavoro bisogna provare ad aggiungere al curriculum anche un dottorato, e così via in una specie di svalutazione accademica. La percezione che la formazione e l'istruzione siano quindi diventati inutili sarebbe esacerbata anche dal fatto che il percorso scolastico spesso marginalizza le “cose che ognuno pensa siano importanti per se stessi”. E qui subentra il concetto principale dell'intero discorso: la creatività e il pensiero divergente.

Secondo Robinson, la scuola moderna è ancora troppo ancorata al modello della cultura intellettuale dell'Illuminismo, che divideva gli individui in due tipologie: quelli “adatti” all'istruzione, e quelli che non lo erano. Quelli che erano in grado di fare un certo tipo di ragionamento deduttivo, di studiare i classici, insomma, gli “accademici”, contrapposti ai “non accademici”, i ragazzi di strada e i figli dei proletari a favore dei quali sarebbe stato inconcepibile spendere tempo e denaro per una educazione pubblica. Secondo Robinson, tuttavia, anche con l'istituzione della pubblica istruzione la divisione è rimasta sostanzialmente la stessa: studenti intelligenti e meno intelligenti, “smart people and non smart people”, studiosi e svogliati, quelli “fatti per lo studio” e quelli che “non ne vogliono neanche a brodo”. Insomma, le cosiddette “braccia rubate all'agricoltura”. Robinson si contrappone a questo atteggiamento ormai forse inconsciamente radicato nella nostra società, installando il seme del dubbio: forse la colpa non è di caratteristiche innate all'individuo, quasi genetiche, ma di un sistema scolastico non al passo con i tempi. 
Standing ovation virtuale da parte mia.

La scuola è ancora adesso organizzata come una catena di montaggio, come una fabbrica che sforna prodotti – conformi, specializzati e ad annate- che devono aderire -conformarsi- a determinati standard di produzione. Per raggiungere questi standard, quello che la scuola fa è di “anestetizzare” i ragazzi, mettendoli a dormire invece di svegliarli (negli Stati Uniti spesso anche letteralmente, attraverso l'uso purtroppo diffuso di farmaci per curare iperdiagnosticate ADHD). Robinson a tal proposito fa presente l'ironia di diagnosticare con tanta facilità la sindrome da deficit di attenzione e iperattività in un mondo in cui siamo bersagliati di informazioni da tutti lati, siano esse provenienti da computer, telefonini, pubblicità, o televisione con centinaia di canali interattivi.

La contrapposizione tra “aesthetic experience”, quella in cui i sensi e l'individuo intero vengono risvegliati, e l'“anaesthetic” che ci addormenta, riprende il concetto iniziale del senso dell'inutilità dell'istruzione quando questa annichilisce le potenzialità individuali presenti all'interno di ciascuno di noi. A questo proposito, trovo molto efficace l'immagine ideata dagli autori del video, del ragazzino che si sveglia uscendo dal guscio del suo corpo in stato semicatatonico, come se fosse un costume che si sta togliendo (minuto 6:29 circa). 
Ed è questo il compito che la scuola, l'istruzione, gli educatori dovrebbero svolgere: portare fuori quello che ognuno ha dentro, attraverso non una conformazione, ma uno stimolare la creatività e il pensiero divergente (o laterale), ovvero l'abilità di vedere quante più possibili risposte ad una domanda, o modi di interpretare la domanda o affrontare un problema. L'esempio è quello della graffetta, per la quale la persona media troverebbe 10 o 15 usi alternativi e creativi, mentre il “genio creativo” può arrivare fino a 200 (a questo proposito trovo un genio creativo sia Robinson, con la citazione “You know… like does it have to be a paper clip as we know it, Jim?”, sia il disegnatore del video, con l'altrettanto geniale visualizzazione grafica della citazione al minuto 8:42 del video).
Quello che la scuola fa, invece, è di fornire -e attendersi- una risposta unica, con il risultato di stigmatizzare gli errori come tali, piuttosto che trattarli come alternative originali, uccidendo così la creatività, il pensiero articolato, la capacità di trovare più soluzioni e porsi più domande.
A sostegno di questo punto, Robinson porta anche dei dati statistici, dai quali si evince che tutti nascono con questa qualità creativa, ma che crescendo, o meglio con l'educazione e l'istruzione, essa va gradualmente deteriorandosi. 
 
In un articolo pubblicato su Edutopia (il link è presente nella mia raccolta), Robinson racconta di una bambina che stava facendo un disegno che raffigurava Dio. All'obiezione della maestra che “nessuno sa come è fatto Dio”, la bambina ha risposto senza esitazione: “Lo sapranno tra un minuto”.
Robinson prosegue l'articolo con queste parole: 
What all children have in common is that they will take a chance. They're not frightened of being wrong. I don't mean to say that being wrong is the same thing as being creative. But if you're not prepared to be wrong, you'll never come up with anything original. By the time they get to be adults, most kids have lost that capacity. They have become frightened of being wrong. We stigmatize mistakes. Now, we're running national education systems where mistakes are the worst thing you can make.

The result is that we are educating people out of their creative capacities. Picasso once said that all children are born artists. The trick is to remain an artist as we grow up. I believe this passionately: We don't grow into creativity; we grow out of it. Or, rather, we get educated out of it. Creativity now is as important in education as literacy, and we should treat it with the same status.

Credo che per la prossima volta che andrò in Inghilterra, alla mia solita lista dei libri da comprare, dovrò aggiungerne uno o due tra quelli di Sir Ken Robinson.




Sitografia disponibile su:
http://delicious.com/beatriceza
Feeds:
http://www.google.com/reader/view/?hl=en&tab=my#stream/user%2F15940418218436146644%2Fstate%2Fcom.google%2Freading-list

Wednesday, 11 July 2012

The Machine is Us/ing Us




Incuriosita dal titolo – “The Machine is Us/ing Us”, ho dato un'occhiata a questo video: http://www.youtube.com/watch?v=6gmP4nk0EOE

In poco più di 4 minuti, Michael Weschil, professore di antropologia culturale presso la Kansas State University, illustra in maniera molto efficace e dinamica l'evoluzione recente del web: l'integrazione del linguaggio HTML con il più recente XML e la conseguente separazione tra forma e contenuti, e la nascita quindi del cosiddetto Web 2.0, nel quale gli utenti sono notevolmente più attivi e protagonisti grazie alla semplificazione dei modi per condividere contenuti potenzialmente con il mondo intero. 
 
Il video presenta diversi spunti di riflessione.

Uno dei primi si riferisce proprio a quanto detto sopra, cioè alla possibilità sempre più diffusa e semplificata di condividere, modificare e scambiarsi contenuti all'interno del web 2.0. 
Rispetto al molto più strutturato Html, il testo digitale dello xml permette una fruizione molto più semplificata e intuitiva, anche all'utente più “tecnologicamente svantaggiato”, qualcosa di forse paragonabile alla diffusione dell'interfaccia grafico nei maggiori sistemi operativi. 
With form separated from content, users did not need to know complicated code to upload content to the web” (minuto 2:10 circa del video) E' questa semplificazione che ha reso possibile la diffusione di blog, social network, siti di condivisione di immagini e di video, come youtube e flickr, o di informazioni, come wikipedia. Questa possibilità di bypassare i codici di base, ovviamente un vantaggio in quanto una velocizzazione e semplificazione, mi porta comunque anche a riflettere su una delle caratteristiche dell'evoluzione sempre più esponenziale della tecnologia in generale, quella dell'iperspecializzazione della conoscenza, che ci porta a saper accendere una lampadina ma non a sapere come essa funziona. Senza voler arrivare alle visioni distopiche della trilogia dei fratelli Wachowski, quello che mi viene in mente a questo proposito è la sequenza in “Matrix Reloaded” nella quale il Consigliere Hamann confida a Neo, durante la loro visita ai sottolivelli logistici di Zion:
There is so much in this world that I do not understand. See that machine? It has something to do with recycling our water supply. I have absolutely no idea how it works. But I do understand the reason for it to work”.

Il secondo punto nel video che è stato per me uno stimolo di riflessione, si trova circa al minuto 2:36 “Xml facilitates automated data exchange. Two sites can mash data together”. 
Come nel punto precedente, un elemento intrinsecamente positivo (anche qui si tratta di semplificazione e velocizzazione) presenta anche delle questioni problematiche. Sapere come condividere informazioni anche personali, non conoscendo bene come questo sistema funzioni, può comportare conseguenze non sempre piacevoli, soprattutto quando la condivisione si espande a nostra insaputa ad altri siti o applicazioni esterne. Il problema della privacy è forse quello che viene alla mente in maniera più immediata, ma non è l'unico. Qualche giorno fa Antonella mi aveva parlato di un libro (o un articolo?) che mi è sembrato molto interessante, nel quale veniva dimostrato come le ricerche effettuate con Google vengano palesemente personalizzate a seconda delle ricerche effettuate in precedenza, creando così una vera e propria selezione, scrematura e filtraggio delle informazioni fornite, basata su dei parametri spesso diversi da una scelta individuale consapevole e aperta. (Antonella, se stai leggendo, mi scriveresti il titolo di questo libro? :) )

Alla domanda “Who will organize all of this data?” Weschil risponde quindi in maniera forse un po' troppo entusiasticamente ottimista: “We will”, “You will”. Non si tratta quindi solo della ragazzina non del tutto consapevole dei setting della privacy sui social network (è eclatante il caso recente dell'app per dispositivo mobile “Girls Around Me”, nata forse con buone intenzioni ma subito chiusa perché rivelatasi un ottimo strumento per lo stalking), o del pensionato iperentusiasta che senza saperlo condivide con mezzo mondo i propri dati sensibili, ma anche gli utenti più accorti e avveduti possono a volte essere inconsapevolmente oggetto di attenzione piuttosto che soggetti in controllo. 
 
Lo stesso autore conclude con un elenco di concetti sui quali fare delle nuove riflessioni in prospettiva, sulle quali “we'll need to rethink”: tra queste copyright, authorship, identity, ethics, privacy. Per quanto riguarda la condivisione di informazioni, esempio maggiore naturalmente Wikipedia, io aggiungerei anche il concetto di “reliability”, di affidabilità, in quanto prodotto di un “cervello collettivo”, suscettibile di continue revisioni anche da fonti non sempre del tutto attendibili. 
 
In conclusione, vorrei chiarire come il mio atteggiamento nei confronti della condivisione globale dei contenuti e delle informazioni non si discosti molto da quello entusiasta e positivo espresso nel video, ma allo stesso tempo trovo sia molto importante ribadire la necessità sempre maggiore di una consapevolezza e di una conoscenza quanto più possibile attiva e intenzionale, non pigra e passiva, dell'uso dei mezzi e della tecnologia a nostra disposizione. 
Solo cercando di mantenere quanto più possibile un controllo individuale e personale sulla tecnologia, possiamo fare sì che l'ideale utopico espresso nel video, cioè “we teach the machine, the machine is us” non si trasformi nell'incubo distopico di “the machine is using us”.

D'altra parte, la questione del controllo, e in che cosa esso realmente consista, non è un argomento di facile soluzione:


Councillor Hamann: Down here, sometimes I think about all those people still plugged into the Matrix and when I look at these machines I... I can't help thinking that in a way... we are plugged into them.
Neo: But we control these machines. They don't control us.
Councillor Hamann: Of course not. How could they? The idea is pure nonsense. But... it does make one wonder just... what is control?
Neo: If we wanted, we could shut these machines down. 
Councillor Hamann: Of course. That's it, you hit it. That's control, isn't it? If we wanted we could smash them to bits. Although, if we did, we'd have to consider what would happen to our lights, our heat, our air...
Neo: So we need machines and they need us, is that your point, Councilor?
Councillor Hamann: No. No point. Old men like me don't bother with making points. There is no point.
Neo: Is that why there are no young men on the council?
Councillor Hamann: Good point.

Matrix Reloaded (2003)